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Capitolo III° - Ignoto e innovativo

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Musi duri da tempo; il l.p.c. non era affatto contento di come andavano le cose: vendite difficili, crescita stentata, momenti di vuoto in libreria, slancio iniziale in caduta, esaurita anche la soddisfazione per il livello giornaliero delle vendite, diventato routine, disorientamento sul da farsi; l’orizzonte s’era fatto piccolo piccolo e la ripetitività dei gesti, dei libri, degli editori, delle idee si faceva oramai assillo; niente da rimproverare ai collaboratori, un magnifico nucleo di librai e libraie che avevano lanciato la libreria e avevano dato il massimo; bisognava trovare delle soluzioni tuttavia a quello che sembrava il cul de sac della distribuzione libraria, capire come fare delle brecce nel nostro fortino per aprirsi ai cambiamenti e per capirlo bisognava parlarsi con molta franchezza: dopo quasi sei anni di professione vissuti in bellezza erano arrivati i tempi duri e molto male risuonava nell’orecchio del l.p.c. il ritornello di "militanti" di qualche cooperativa : "Feltrinelli, Feltrinelli, son finiti i tempi belli"

Il l.p.c. pensò allora di riunire il suo gruppo, composto da quattro librai /e e una cassiera tuttofare per parlarsi tutti e lo fece con un incontro a cena; l’invito era tanto perentorio quanto motivato, l’obiettivo dichiarato: discutere apertamente e con serenità per trovare una buona via di uscita

Fu scelto come posto una vecchia trattoria della periferia sud, non più l’Enal dei tempi d’oro: erano cambiati i tempi e anche la gestione dell’Enal, peggiorata decisamente: Renzo ne aveva aperto una nuova , ma non si sapeva dove; scoprimmo qualche mese dopo che era a poche centinaia di metri dal nostro ritrovo

"Inter pocula non sunt negotia" dicevano i romani: forse loro mangiavano pesante e ed esageravano con il vino, noi comunque quell’orario avevamo, l’orario di cena, perciò ci tenemmo attentamente sobri

Lì dunque , in quella vecchia trattoria con le botti nel retrobanco e l’oste che spillava il vino e ne diffondeva l’odore asprigno nell’aria, si svolse il nostro faccia a faccia, occhi negli occhi, niente baruffe, niente accuse, analisi serrata dei cambiamenti in corso, autocritica sincera, libera e spassionata sulle nostre scelte lavorative, feroce tensione per trovare soluzioni da adottare subito, considerazione ben ponderata dei margini di miglioramento; fu quindi una discussione dura, tesa e corretta insomma, in cui il capo era il collega responsabile, che sì tirava le fila dei discorsi, che sì prendeva le decisioni, ma dopo aver ascoltato con molta attenzione, confrontato con minuzia, scavato e chiarito; eravamo tutti coscienti del fatto che acredini, blandizie, espedienti, dribbling delle responsabilità ci avrebbero potuto buttare fuori strada e che le soluzioni comunque dipendevano da noi e non da un concetto tanto astratto quanto lontano di azienda, magari comodo, certamente vuoto e inutile; l’azienda in quella fase precisa del nostro ciclo lavorativo era lì, in quella trattoria e tra le mura cittadine, non avevamo il "miracle man" , toccava a quel nucleo, al quale servivano concretezza, idee guida nitide e lungimiranti, azioni incisive, pazienza e tenacia, testa e la manna della complicità dei clienti

Due le linee di miglioramento furono identificate: la prima, mettere una volta per tutte a reddito il soppalco, dove andavamo malvolentieri tutti perché tanto ci piaceva il piano terra vispo e gaio; al soppalco in cinque e più anni non avevamo saputo dare un’identità; la seconda ripensare l’assortimento come struttura di settori rispondenti agli interessi dei clienti e con ciò rompere il tabù, e il muro, dell’aggregazione per editore e per collana

 

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Inge_Feltrinelli
Bauletto di Mnemosyne
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